In morte del popolo italiano

Italiani popolo di poeti, santi, navigatori, parolai fino allo sfinimento, congiurati, voltagabbana, codardi, faziosi, approssimativi, analfabeti di ritorno, egoisti, egoriferiti, narcisisti, viziati, presuntuosi e inconcludenti, invidiosi sociali e individuali, quindi patetici, pagliacci, inesauribili battutisti, cinici, passando naturalmente per evasori fiscali, truffatori, ladri, puttanieri e puttane.

Ovviamente grandi cuochi amanti del bel vivere e comunque (tra noi, proprio tra noi) mafiosi, camorristi, ndranghetisti, incensurati collusi, corrotti, corruttori, venduti, inciucisti, rivoluzionari con villa condonata su spiaggia, censori e millantatori, parassiti, sfaticati cronici, paraculi, bugiardi, bastiancontrari, isterici, maleducati, arroganti, violenti, disfattisti, capaci di tutto e nulla, comunque inaffidabili… e potrei andare avanti per ore, giorni, mesi, anni, secoli.

Guardiamoci allo specchio, riconosciamoci, inginocchiamoci, ammettiamo tutte le nostre colpe. Anche quelli che pensano di avere ragione perché gli altri hanno torto, è chiaro. Anche quelli che si indignano leggendo un’invettiva (“ma io non sono così!”) e che pensano di essere i buoni perché i cattivi sono tutti gli altri. Restare impotenti a guardare, a volte, è peggio. Ma anche contestare, ridicolizzare  e demolire sistematicamente le decisioni della maggioranza, e come minimo le idee altrui (senza ascoltare, va da sé), è peggio. E lavare i panni sporchi in pubblico non è trasparente, sapete, è profondamente stupido.

Siamo già molto oltre il completo disfacimento, siamo in avanzato stato di decomposizione morale e materiale.

Non siamo una nazione. Siamo quella Casa dello Studente che si è sbriciolata e non è stata mai più ricostruita. Siamo l’Expo di Milano che si farà poco, di fretta e male. Siamo la campagna avvelenata della Campania che fu Felix e il mare martoriato di Bagnoli. Siamo Brescia con la diossina nei giardinetti e i bravi sindaci onesti che non la bonificano. Siamo quelli che godono della bella città lumière subalpina salvo poi scoprire che era tutto a debito, e che debito, ma chi lo ha creato per qualche ora è stato anche messo nella rosa dei papabili per il Quirinale.

E siamo anche l’Olivetti gioiello hi-tech ante-litteram che poteva essere altro che Apple o Samsung e non è stato, come mille altre eccellenze, perché è sempre maledettamente più facile puntare alla rendita che all’impresa. Siamo quelli con il maggior patrimonio culturale del mondo inesorabilmente e follemente lasciato a marcire perché non studiamo più (ah, l’ortografia, questa sconosciuta), non sappiamo chi siamo e da dove veniamo.

Avevamo ogni bendidìo a portata di mano, abbiamo scelto di sprecarlo per goderne solo e rigorosamente la parte più effimera spacciando tutto questo per eleganza, creatività e Italian lifestyle. Siamo morti che camminano, sapete, perché abbiamo permesso che negli ultimi trent’anni fossero rase al suolo le fondamenta stesse della convivenza civile e del progresso e del benessere. Lo ha detto Nicola Gratteri (non vi dico chi è, andatevelo a cercare): senza una scuola e un sistema giudiziario funzionanti non abbiamo speranza di cambiare in meglio. Sono sicuro che qualcuno da qualche parte se la ride e commenta soddisfatto: missione compiuta.

Ma così abbiamo allevato cittadini impalpabili insieme a politici e dirigenti privi della qualità essenziale: il senso del bene comune, del progetto condiviso, della capacità di proporre una visione che metta in carreggiata il Paese. Verso il futuro. Per offrire una speranza. Ce la siamo strappata la speranza, è ormai un arto amputato, e compiacendoci del caos abbiamo consegnato le chiavi, direttamente o indirettamente, volutamente o meno, alla criminalità organizzata e nel migliore dei casi alla tecnocrazia taccagna di Bruxelles e Francoforte. Gli arresti e gli scandali di ogni santo giorno raccontano questa storia. I dati funerei dell’economia (silenziati, quelli sì, in questi giorni di stallo politico infinito) lo gridano al mondo.

Forse non c’è più nulla di cui ridere, sapete, e nemmeno di cui dibattere incessantemente. Non riusciamo a mantenere la parola data per più di cinque minuti, non riusciamo nemmeno più a guardarci in faccia. Come Bersani durante l’incontro con Crimi e Lombardi (quelli della foto buffa su Facebook nella sera più drammatica della Repubblica da molto tempo a questa parte). Come quei 400 e rotti al teatro Capranica.

A questo punto siamo arrivati. Il punto, immagino, di non ritorno. E non spero nemmeno che riflettiate su quello che ho scritto (chi sono io per pretenderlo?). Semplicemente, ora che ufficialmente aspiriamo a essere una monarchia, farete spallucce e continuerete a massacrarci come se nulla fosse. Good luck, Italia.

italia_morta

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