Poi non fate quelli che non ve l’avevo detto
Una chiacchierata con un caro amico mi spinge a riaprire le pagine di questo diario personale per annotare alcuni pensieri semplici che non vorrei andassero dispersi. E vi vorrei dire, quindi, di una associazione che per ragioni anche piuttosto personali mi sta piuttosto a cuore. Ha molti iscritti e ultimamente cerca una discreta sommetta di denaro per un aumento di capitale, prassi seguita da imprese del medesimo settore senza fare poi tante storie.
L’obiettivo è tirare fuori dai pasticci una grande azienda la cui ricca dote è stata sperperata, per dirla con un eufemismo, nel corso degli ultimi rovinosi dieci anni di gestione. Una gestione che ha attraversato indenne, sorprendentemente senza conseguenze tangibili per i vertici, diversi bilanci in profondo rosso. Cosa che non sarebbe accaduta in nessun’altra azienda quotata.
Ebbene, la detta associazione sembra annaspare un po’, oppure dissimula non benissimo. Perché la sensazione è che determinati nodi non si sciolgano, che le incrostazioni alla base di una serie di rivalità e divisioni interne resistano a qualsiasi tentativo di venirne a capo. Un grande quotidiano milanese di recente ha scritto di pace siglata: lo vedremo alla prova dei fatti.
Intanto da mesi i dipendenti, molti e con relative famiglie, aspettano che si squarci il velo su un quadro di scelte complessive che per il momento resta avvolto nel mistero, affidato ora a messaggi rassicuranti ora a tweet più o meno allusivi. Di concreto, però, negli ultimi mesi non è successo nulla e il tempo per evitare il peggio è ormai quasi esaurito.
Quel che è certo, non si capisce come sia possibile che con tutti quegli iscritti si debba elemosinare il capitale tendendo la mano verso le banche invece che verso gli azionisti e gli stakeholder, che pure a questa grande storia d’impresa terrebbero. E che a volte, interpellati, fanno capire di non essere perfettamente al corrente del grado di gravità della situazione.
Per farla breve, basterebbe quel che oggi si chiama crowdfunding. Dopo avere presentato un piano di rilancio serio e credibile, naturalmente, non quel condensato di ovvietà fumose uscito da un recente vertice della società che controlla il noto gruppo.
Basterebbe chiedere 1000 euro ad un prossimo giro di raccolta delle quote associative. E non sono certo il solo a pensarla così, giacché non serve essere esperti in matematica finanziaria per arrivarci. Ci sarebbe tanta di quella benzina da consentire di salvare due volte l’azienda e le sue eccellenze, tra cui professionisti che invece saranno messi a riposo nei mesi a venire con un costoso programma di prepensionamenti e pensionamenti.
A qualcuno, pensate un po’, è venuto perfino il sospetto – certo, si deve essere malevoli per arrivare a tanto – che si voglia approfittare della ghiotta occasione offerta dall’erogazione di fondi pubblici per incassare il “dividendo” dei prepensionamenti e pensionamenti e poi magari alzare le mani in segno di resa: sapete il paziente non ce l’ha fatta, siamo costernati, tutti a casa.
Beh, da cotanta associazione non ce lo aspetteremmo davvero. Uno scenario del genere sembra fantascientifico, vero? Che poi non se lo aspetterebbe neppure il Paese. E, forse, il Paese non perdonerebbe tanta spregiudicatezza. Forse nemmeno gli associati, in un moto di ritrovata consapevolezza e amor proprio, la perdonerebbero.
Quindi, lo ripeto molto sommessamente, il suggerimento: crowdfunding, 1000 euro a testa (per alcuni degli associati non è nemmeno il budget di una cena), rilancio in grande stile. Senza passare dalle banche, alle quali poi magari si dovrebbe concedere qualche fastidioso segno di riconoscenza.
Vi pare davvero una “mission impossible”?
P.S. Per chi non lo avesse ancora capito l’associazione si chiama Confindustria e l’azienda è il Sole 24 Ore, il giornale in cui lavoro da quasi 13 anni (e dove vorrei lavorare ancora per un po’)
P.P.S. Fate presto