Poi non fate quelli che non ve l’avevo detto

Una chiacchierata con un caro amico mi spinge a riaprire le pagine di questo diario personale per annotare alcuni pensieri semplici che non vorrei andassero dispersi. E vi vorrei dire, quindi, di una associazione che per ragioni anche piuttosto personali mi sta piuttosto a cuore. Ha molti iscritti e ultimamente cerca una discreta sommetta di denaro per un aumento di capitale, prassi seguita da imprese del medesimo settore senza fare poi tante storie.

L’obiettivo è tirare fuori dai pasticci una grande azienda la cui ricca dote è stata sperperata, per dirla con un eufemismo, nel corso degli ultimi rovinosi dieci anni di gestione. Una gestione che ha attraversato indenne, sorprendentemente senza conseguenze tangibili per i vertici, diversi bilanci in profondo rosso. Cosa che non sarebbe accaduta in nessun’altra azienda quotata.

crowdfunding

Ebbene, la detta associazione sembra annaspare un po’, oppure dissimula non benissimo. Perché la sensazione è che determinati nodi non si sciolgano, che le incrostazioni alla base di una serie di rivalità e divisioni interne resistano a qualsiasi tentativo di venirne a capo. Un grande quotidiano milanese di recente ha scritto di pace siglata: lo vedremo alla prova dei fatti.

Intanto da mesi i dipendenti, molti e con relative famiglie, aspettano che si squarci il velo su un quadro di scelte complessive che per il momento resta avvolto nel mistero, affidato ora a messaggi rassicuranti ora a tweet più o meno allusivi. Di concreto, però, negli ultimi mesi non è successo nulla e il tempo per evitare il peggio è ormai quasi esaurito.

Quel che è certo, non si capisce come sia possibile che con tutti quegli iscritti si debba elemosinare il capitale tendendo la mano verso le banche invece che verso gli azionisti e gli stakeholder, che pure a questa grande storia d’impresa terrebbero. E che a volte, interpellati, fanno capire di non essere perfettamente al corrente del grado di gravità della situazione.

Per farla breve, basterebbe quel che oggi si chiama crowdfunding. Dopo avere presentato un piano di rilancio serio e credibile, naturalmente, non quel condensato di ovvietà fumose uscito da un recente vertice della società che controlla il noto gruppo.

Basterebbe chiedere 1000 euro ad un prossimo giro di raccolta delle quote associative. E non sono certo il solo a pensarla così, giacché non serve essere esperti in matematica finanziaria per arrivarci. Ci sarebbe tanta di quella benzina da consentire di salvare due volte l’azienda e le sue eccellenze, tra cui professionisti che invece saranno messi a riposo nei mesi a venire con un costoso programma di prepensionamenti e pensionamenti.

A qualcuno, pensate un po’, è venuto perfino il sospetto – certo, si deve essere malevoli per arrivare a tanto – che si voglia approfittare della ghiotta occasione offerta dall’erogazione di fondi pubblici per incassare il “dividendo” dei prepensionamenti e pensionamenti e poi magari alzare le mani in segno di resa: sapete il paziente non ce l’ha fatta, siamo costernati, tutti a casa.

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Beh, da cotanta associazione non ce lo aspetteremmo davvero. Uno scenario del genere sembra fantascientifico, vero? Che poi non se lo aspetterebbe neppure il Paese. E, forse, il Paese non perdonerebbe tanta spregiudicatezza. Forse nemmeno gli associati, in un moto di ritrovata consapevolezza e amor proprio, la perdonerebbero.

Quindi, lo ripeto molto sommessamente, il suggerimento: crowdfunding, 1000 euro a testa (per alcuni degli associati non è nemmeno il budget di una cena), rilancio in grande stile. Senza passare dalle banche, alle quali poi magari si dovrebbe concedere qualche fastidioso segno di riconoscenza.

Vi pare davvero una “mission impossible”?

P.S. Per chi non lo avesse ancora capito l’associazione si chiama Confindustria e l’azienda è il Sole 24 Ore, il giornale in cui lavoro da quasi 13 anni (e dove vorrei lavorare ancora per un po’)

P.P.S. Fate prestoNuovo documento 2017-03-07

 

 

Non fiori ma risposte al terrore

Leggo analisi perfette tipo questa di Attilio Geroni sul Sole a proposito della carneficina di Nizza, l’ultima in ordine di tempo, una delle molte altre che certamente seguiranno. Era perfino troppo facile prevedere che dopo alcune prove generali la follia islamista avrebbe trovato ovvio e naturale trasferire il terrore dal Medio Oriente e dall’Africa direttamente nelle nostre strade.

Quel che trovo innaturale è la facilità con cui passiamo dai primi momenti di smarrimento e orrore alle commemorazioni e alle fiaccolate per poi riprendere a vivere come se nulla fosse, mentre i macellai sono proprio qui, in mezzo a noi.

carnageE quel che non trovo nelle analisi perfette, su Nizza ne potete leggere una delle molte di Alberto Negri, collega che sa tutto ma proprio tutto di Medio Oriente, è una risposta che vada oltre la presa d’atto, il ragionamento possibilmente lucido, la ricerca delle responsabilità storiche e politiche dell’Occidente.

Del resto la strage degli italiani a Dacca ci ha fatto capire che la follia cannibale non ha contaminato solo il grigiore delle banlieue francesi o belghe (e mettiamoci anche la Germania, l’ondata di violenze sessuali a Capodanno, rimasta in larga parte impunita, non la terrei in secondo piano) ma anche i piani alti della borghesia musulmana opulenta.

Quindi?

Forse non resta che rassegnarci a convivere con l’orrore, che colpirà a piacimento semplicemente perché è fra noi e ormai ha prodotto metastasi ovunque. “Non esistono feste, ci avvertono i carnefici, che non possano essere trasformate in tragedia. Non esistono luoghi del divertimento che non possano diventare campi di morte”, scrive Geroni. Ha ragione.

Eppure non riesco ad accettare che alle loro azioni non segua una reazione percepibile. Un moto d’orgoglio. Forse dovremmo davvero pensare (come spiega Ugo Tramballi) a prendere esempio da Israele addestrando e armando dei civili, affinché la vigilanza sia sempre più capillare e le risposte agli attacchi – al ristorante? Su una spiaggia? In un mercato? – quanto più possibile rapide ed efficaci. Almeno cerchiamo di limitare i danni, evitiamo di tenere la guardia tanto abbassata. Decidere di non difenderci non servirà a lenire il senso di colpa sottile che, da europei, ci fa sentire responsabili dei mali del mondo.

Un fatto è sicuro: le autorità non possono limitarsi a chiederci di restare tranquilli e continuare come se nulla fosse. Al salto di qualità da parte dell’internazionale del terrore e dell’odio per la nostra quotidianità dovrà corrispondere una serie di scelte adeguate e proporzionate. In caso contrario non sarei stupito se, presto o tardi, questa faida andrà avanti anche nei luoghi di culto e ritrovo dei musulmani in Occidente.

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Dichiarazione di voto Balzana

Mi hanno detto che sono troppo tifoso. Beh, scusate, manca pochissimo alle primarie, la smetterò presto. Sappiatelo, la partita non è di quelle da poco. In questi cinque anni il massimo della protesta per me è stata la questione tosta dell’ondata migratoria sotto casa (e… sì, qualche ciclabile di troppo).

Per il resto, pur con limiti, l’amministrazione Pisapia non si è fatta notare granché, dunque ha fatto bene. Mi hanno perfino rifatto piazza Oberdan! Ma poi, Milano è una città vivace, le energie non sono state soffocate o depresse come durante il quinquennio precedente.

Certo, l’aria cattiva, ma quella è questione stagionale, padana e in fondo nazionale, non mi azzarderei a dire che dipende dall’Area C allargata o meno, anche se con meno auto si respirerebbe meglio.

Quindi? Quindi il Pd renziano decide che deve metterci un cappello su, “fàtece largo che passàmo noi” con l’uomo di “Espo” (la x proprio non gli riesce di pronunciarla), l’ex manager Telecom, ex direttore generale del Comune con la grigissima (amministrativamente parlando) Letizia Moratti. Io lo vedrei bene al massimo come sindaco di Concorezzo.

Eppure questi lo spingono come se ci dovesse salvare non so da cosa non so da chi. Forse che gli preme spartirsi roba? Hanno fretta di riprendere a fare affari (mettendo le mani avanti, il “patto con Cantone”)? Tutta questa smania di cancellare l’esperienza arancione da sinistra, scusate, io non la capisco.

E allora seguo l’odore dei soldi. Chissà dove mi porterà. Magari a inciampare in qualche rotaia degli ex scali ferroviari. Per il resto, lascio la parola a Simona Bonfante, che la spiega molto bene.

E insomma, ancora poche ore. Poi si saprà se i milanesi hanno fatto la frittata o no. Perché se frittata dev’essere, ve lo dico, allora meglio Milano a Paolone Del Debbio che all’uomo grigio di “Espo”.

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Come funziona la stampa in Italia? A lezione da Bremmer

Come funziona la stampa in Italia? E c’è sempre motivo di darle addosso?

Ecco, per dire, mi piace portare a esempio due modi molto diversi di scrivere sull’incontro con un esperto di geopolitica, materia comprensibilmente molto in voga. È successo che questa mattina i giornalisti abbiano ascoltato Ian Bremmer, docente della New York University, presidente e fondatore del think-thank di politica internazionale Eurasia Group, reduce dalle tartine del World Economic Forum di Davos e brillante ospite di Kairos, a Milano.

Ebbene, capita che si parli delle sorti non troppo magnifiche ma sempre progressive del globo terracqueo, dalla frenata della Cina ai guai dell’Arabia Saudita e del Medio oriente fino alle elezioni americane e al ruolo dell’Europa.

Non può mancare, ovviamente, qualche domanda sull’Italia (siamo in Italia). Succede che l’oratore avverta che non ama parlare del Paese di cui è ospite. Naturalmente i giornalisti chiedono se vede bene l’operato di Renzi, se sia un leader autorevole.

Al che l’americano Bremmer esprime una posizione molto made in Usa: Italia ottimamente on track, sulla strada delle riforme. Segno, penso io, che il nostro sa narrarsi molto bene oltreoceano, dove magari non si fanno un problema eccessivo di come poi va a finire con i decreti attuativi né si attardano a capire che cosa è successo di recente a una banchetta del Granducato.

Per farla breve, tempo dedicato a Renzi e Italia: 5 minuti su circa 90.

E che fa l’Ansa?

Crisi: Bremmer, in Italia leader forte per attuare riforme
(ANSA) – MILANO, 25 GEN – In Italia “c’è una leadership forte e carismatica che potrebbe mettere in atto le riforme che sono all’ordine del giorno”. Lo sostiene Ian Bremmer, presidente e fondatore di Eurasia Group, think tank di politica internazionale, ospite del gruppo Kairos. “L’Italia – afferma – è su una traiettoria positiva di riforme politiche. La più positiva di qualunque Paese europeo e questo – sottolinea – ci dice che l’asticella in Europa è molto bassa”.(ANSA).

Cina: Bremmer, reazione mercati esagerata ma timori reali
 (ANSA) – MILANO, 25 GEN – “Il mercato ha reagito in modo esagerato al declino della crescita cinese perché il mercato cinese è un mercato politico e il governo lo dimostrerà ancora”. A sostenerlo è Ian Bremmer, presidente e fondatore di Eurasia Group, think tank di politica internazionale ospite dell’incontro annuale riservato ai clienti del gruppo Kairos. “Tutte le preoccupazioni sui mercati cinesi – sostiene però Bremmer – sono reali ma non per quest’anno, sono di più lungo termine”. Anche perché “il Governo cinese ha così tanti strumenti per assicurare la crescita sufficienti a mantenere la stabilità, forse non sarà il 7% e magari il numero vero è più basso. Ma, comunque, una crescita sostenibile e lo sarà per un certo periodo di tempo”.(ANSA).

Ecco, capite? Il riflesso dell’accarezzare e rassicurare.

Fortunatamente, per sapere com’è andata davvero (al centro dell’incontro temi di respiro globale più che la curva Fiesole o il tutto va bene madama la marchesa) c’è Radiocor, l’agenzia del Sole 24 Ore, testata per cui (casualmente) lavoro. Qui il primo di tre lanci:

Mercati: Bremmer, in un «mondo G-zero» in Europa più rischi da geopolitica
(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Milano, 25 gen – E’ “un mondo G-zero” quello che si va disegnando, senza leadership e con un rischio geo-politico crescente e strutturale, ma non globale. A rimetterci e’ l’Europa, oltre al Medio Oriente, mentre Usa, Cina e Giappone ne saranno preservati. Brillante e provocatore, Ian Bremmer, presidente e fondatore del think-thank di politica internazionale Eurasia Group – in un incontro organizzato da Kairos a Milano – traccia i rischi che condizioneranno il 2016 e gli anni a venire. “Ci sara’ molta piu’ instabilita’ geo-politica, non solo nel Medio Oriente, ma anche in Europa, mentre le tre maggiori economie del mondo, gli Usa, la Cina e il Giappone non ne saranno influenzate. Quindi penso che vedremo un grande rischio che deriva da una ‘distruzione creativa’ di tipo geo-politico, ma non e’ un rischio globale. Il problema e’ che manca una leadership che risponda a questo rischio”, spiega Bremmer, che parla della fine del G7 e del G20 e di “un mondo che ormai e’ ‘G-zero'”. “Non c’e’ nessun Paese che voglia assumere un ruolo-guida”, gli Usa non sono piu’ disponibili a far il gendarme del mondo e “si muovono piu’ sul piano unilaterale che su quello multilaterale”, indica il presidente di Eurasia Group. La riflessione e’ che “nel 2016 non vedremo i leader dare risposte efficaci” a problemi come quello della Siria, “vedremo frammentazione se non un’assenza di risposte”. La geo-politica, che secondo Bremmer in passato forniva piuttosto occasioni di acquisto, adesso invece pesera’ sui mercati. “In un contesto che e’ diventato strutturalmente instabile geo-politicamente, soprattutto in Medio Oriente ed Europa, l’impatto su quei mercati sara’ piu’ negativo. Gli investitori penseranno piu’ alla resilienza e meno alla crescita. Gli Usa continueranno, invece, ad essere un porto sicuro”, sottolinea.
gli- (RADIOCOR) 25-01-16 14:42:39 (0375) 5 NNNN

Insomma, i giornalisti non sono tutti uguali. Tenerne conto, se possibile.

Aggiornamento serale: Dall’Ansa mi è stato fatto notare che sono stato poco cortese nella mia sottolineatura e che alle ore 17.20 è stato prodotto un ampio focus sul quadro geopolitico disegnato durante l’incontro con Bremmer. Alle 5 e 20 del pomeriggio, tuttavia, molti giornali sono belli e disegnati. E resta il fatto che la priorità è stata data ad altro. Nulla di male, sia chiaro. Sono scelte.

Aggiornamento del giorno dopo: anche il Sole 24 Ore ha scritto un articolo sull’incontro della stampa con Bremmer, a firma Vittorio Da Rold. Titolo: I rischi di un mondo senza leadership. Su Italia e Renzi nemmeno una riga.

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La verve riformista del Beppe Sala

Ok, ha litigato un po’ con la lavagna elettronica (che per un ex manager di Telecom non è il massimo) ma almeno ha citato i riformisti del 900. Poco digital, quindi. Tuttavia sensibile al fare per il bene comune che ha caratterizzato le migliori stagioni della politica milanese. E che lui, Beppe Sala, – ex commissario di Expo e candidato sindaco di investitura renziana – ha riassunto così, presentando la sua campagna per le primarie del centrosinistra al teatro Strehler: “Far combaciare giustizia e progresso con la realtà”.

Cosa sia questa realtà lo sa solo lui. Oppure lo si può intuire. Per esempio quando ripete per l’ennesima volta che ci tiene a riannodare subitissimo il filo spezzato della delibera sugli ex scali ferroviari: “Opportunità imperdibile per Milano”. A questo punto si potrebbe essere indecisi tra la percezione di un candidato più ispirato da Tognoli o dal craxismo. Vedremo.

E però, a scanso di ogni residuo equivoco circa il suo dna di uomo di sinistra, Sala ha rievocato nientemeno che Antonio Gramsci. “Prevedere in politica significa agire per”. Ora, vuoi vedere che chi guarda alla lezione gramsciana non è almeno un po’ di sinistra?

Che poi, per dirsi sempre più di sinistra, ma anche vicino ai cattolici (quelli di sinistra, ovvio) e a costo di irritare un cicinìn le altissime sfere della Curia ambrosiana – fresca di appello sul Corrierone per l’impegno dei laici in politica – ha messo Carlo Maria Martini in cima alla classifica delle personalità spirituali de Milano. Chiariamo, non è che corresse proprio dell’ottimo sangue fra il cardinale e la Compagnia delle Opere, no. Sapete, a proposito del presunto appoggio “ciellino” (non mi pare di averne scorto una presenza massiccia; se mi sbaglio – cito – “corrigetemi”).

Tattiche. Capiremo a breve quanto efficaci.

Poi il ragionamento sulla sfida del 6 e 7 febbraio. “Se vincerò le primarie il centrodestra avrà difficoltà come non mai ad oppormi un candidato”. Poiché il nostro è un sedicente uomo di sinistra (allo Strehler in effetti i leader locali del Pd c’erano) forse non intende che con lui vincitore gli altri (Forza Italia, Lega, Ncd) si riterranno soddisfatti, quanto piuttosto che con le arti della politica confida di poter conquistare tutti indistintamente, anche il voto dei moderati.

Certo però che l’ideona (il “sogno”) di riaprire i Navigli a Milano, grande opera che potrebbe ricordare per ambizione l’impossibile Ponte sullo Stretto (ehm), potrebbe spingerci a coltivare anche qualche balzana idea. O Balzani, vedete voi.

Gran chiusura per i supporter: “Andate e moltiplicatevi”. L’esortazione che ti aspetti da uno che ama l’acqua dei Navigli, magari al punto da credere di poterci camminare su.

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Idea Balzani

Nel senso, perché mai dovrebbe piacere un grigio assessore al bilancio e vicesindaco di riserva come prossimo sindaco di Milano? Parrebbe una di quelle idee strane, un po’ balzane, del tizio che ha passato – sì, a volte un po’ distrattamente – cinque anni a Palazzo Marino. E allora, adesso che aspira a un soft landing dopo la fase politica, Giuliano Pisapia pensa di appiopparci la delfina, nemmeno milanese, ignota ai più?

Non so, certo che sarà una discreta lotta senza esclusione di colpi questa delle primarie milanesi del centrosinistra. Scopro che i due attori del primo match fra candidati, il Beppe Sala – ovvero il manager che si è dimenticato di affidare a un software le visite ai padiglioni di Expo, così stabilendo il record di durata mondiale delle code – e il Pierfranci Majorino (in estrema sintesi: padre, poeta, assessore mancato alla Cultura, nostalgico dell’antifascismo,  a volte criptoluddista) si lovvano da lunga pezza. Ovvero da quando Majorino, nelle sue vesti di segretario, sondava in tempi non sospetti Sala proprio per una candidatura a sindaco. L’ho letto sul sito di Radio Popolare, non su Dagospia.

Eccoli quindi fiorettare cortesemente sul palco dell’Anteo Cinema un pomeriggio di gennaio. Confronto che si erano ripromessi di fare e guai a coinvolgere anche la terza incomoda, la delfina, cioè la Francesca Balzani. Una cosa fra uomini, diciamo. Speriamo solo non sia vero che stessero facendo finta di essere avversari come ha lasciato neanche tanto immaginare un bravo collega che la politica la conosce molto meglio di me.

Ora, però, mettiamo da parte le polemiche, visto che poi Majorino, manifestando pentimento per la scortesia, ha invitato Balzani a un altro confronto e lei gli ha dato il due di picche. E dunque guardiamo a come si è presentata la candidata vicesindaca (tutto rigorosamente al femminile, io so come si fa) su un altro palco, quello dell’Elfo Puccini. C’è chi ha detto troppi toni scuri nella scenografia. C’è chi ha detto perché Gad Lerner ad aprire l’incontro. C’è chi ha detto ecco vedi hanno invitato come testimonial i soliti radical chic del mondo “sinistra caviar” che piace a Pisapia.

La faccio breve. Lei è stata più brava degli interlocutori sul palco. Ha risposto alle domande cogliendone lo spirito e dando risposte non scontate. Ha confermato di essere una donna concreta, pratica, che va dritta al cuore delle questioni. Per trovarle un difetto, ha sbagliato a dire che le auto sono la principale causa dell’inquinamento dell’aria di Milano. Poi però ha anche esposto una ricetta (tra l’altro sì, il car sharing con le auto elettriche, caro Maran) parecchio più sensata della minestra riscaldata proposta da altri.

Insomma dai, la corsa delle primarie è iniziata per davvero (non manca molto, meno di un mese). C’è ancora parecchio da dire e da fare, ma qualcun(a) sembrerebbe fit al punto da poter riservare delle sorprese. Si è capito chi è?

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Cosa nascondi, Beppe Sala? Te lo chiede il tuo ex portavoce

In genere non mi occupo di singoli, ma questa merita davvero. È così bella che mi ci voglio soffermare un po’. Qualcuno di voi ricorderà le lunghe e appassionate discussioni su Twitter con  @secolourbano, al secolo Giacomo Biraghi, molto abile uomo di comunicazione che faceva il corazziere del commissario di Expo, Beppe Sala. L’expottimista Biraghi tesseva lodi, distillava cifre, narrava cose che voi umani e che ai più attenti osservatori sembravano avere dell’incredibile, perfino, e del meraviglioso.

Impossibile cavare un dato utile che uno: il Biraghi ti rimbalzava sempre da par suo, fornendo numeri su misura. Voglio dire, su misura della narrazione, manco a dirlo il successo universale di Expo, manifestazione parecchio sopravvalutata di cui il blog Econopoly del Sole 24 Ore (che ho l’onere e l’onore di curare) ha rivelato l’impatto davvero minimo sull’andamento del turismo italiano nel 2015.

Ebbene, da qualche settimana il Biraghi è diventato portavoce, pensa un po’, del candidato sindaco Corrado Passera, ovvero del più puntuto critico di Sala, anch’egli candidato sindaco di Milano, di rivelata fede renziana (che poi la cosa proceda aspettiamo a dirlo, magari avremo delle sorprese, ma per adesso è ancora così; comunque non è questa la sede per parlare di primarie, Pd, eccetera).

Avete capito bene. Colui che per molte settimane e solo fino a due mesi fa non faceva passare uno spillo sui social network senza intervenire come un navy seal in difesa del buon nome di Expo e del suo lìder maximo, oggi è passato con il nemico.

Che la cosa non lo imbarazzi affatto (nulla può imbarazzare Biraghi, me ne sono convinto seguendo le sue acrobazie su Twitter) è dimostrato, per dire, da questo colpo al basso ventre di Sala, che campeggia sul sito dell’ex consigliere delegato e ceo di Intesa Sanpaolo. Ecco qua, fatevi poi da soli un’idea del livello.

 

Siamo proprio un bel Paese. E auguri di buon anno.

 

 

 

Sul doppiopesismo tutto zucchero e miele che esime le dolci banchine

Leggo sul Corriere di oggi che i quattro istituti di credito nati grazie al premuroso decreto salvabanche non intendono restituire un solo euro ai risparmiatori eventualmente truffati. I quali dovranno chiedere conto, semmai, alle vecchie banche, quelle che ovviamente non c’hanno nemmeno una lira in cassa. Gli istituti appena creati sono puri, non c’è peccato originale e tantomeno pendenze con il passato. Parola del ministero dell’Economia.

Quindi, agli incauti che hanno perso tutto per via del micidiale mix analfabetismo finanziario / sportellista sotto ricatto non resteranno che gli arbitrati “caso per caso” affidati all’Anac di Raffaele Cantone. O magari i tribunali ordinari. Per recuperare, forse, una piccola parte del gruzzolo.

Ecco, riscontro una lieve asimmetria. Le banchette saltate per aria vendevano polpettoni avvelenati per stare in piedi con i soldi altrui e adesso spariscono in una nuvoletta di fumo. Puff. Ma anche quelle che vengono dopo. Comodo tanto, no?

E pensare che quando, alcuni anni fa, una banca di cui non farò il nome si accanì, come ampiamente consentito dalla legge, su una persona di mia stretta conoscenza per dichiarare nulla la compravendita di un appartamento e recuperare dalla malcapitata parte acquirente la somma dovuta dalla malandrina parte venditrice, in fondo l’istituto di credito fece ad altri ciò che non avrebbe mai voluto fosse fatto a se stesso. A Natale, soprattutto, certe cose non dovrebbero proprio capitare.

Schermata 2015-12-27 alle 14.02.04Eh sì perché, a parti invertite e Presepe ancora caldo, i truffati di Etruria e compagnia bancante dovrebbero poter inviare lettere ineccepibili in punto di diritto ma di fatto cortesemente minatorie proprio alle banche nuove e figlie del peccato. E in queste lettere gli obbligazionisti dovrebbero poter pretendere che le nuove Etruria e Marche, eccetera paghino l’eventuale danno procurato, fino all’ultimo euro. Ovviamente, se il giudice nella sua presumibile e auspicabile autonomia, arrivasse a una tale conclusione. Ma si sa, come diceva Karl Kraus “la morale è una malattia venerea” e “le verità vere sono quelle che si possono inventare”.

Sarò un inguaribile amante dell’utopia, ma secondo me la nonna di Eleonora dovrebbe, nel caso, poter ottenere il pignoramento dei beni della nuova banca. E se questa facesse la gnorri, affidando la propria sorte – come dicono gli ineffabili Cda – alle regolette europee e nostrane, che per puro caso stanno dalla parte delle banche, ecco che alla suddetta nonna di Eleonora dovrebbe essere almeno concesso il diritto di mandare all’asta la casa del tal vicedirettore o del tal impiegato solerte della vecchia banca Etruria o CariChieti che dir si voglia.

E se costoro fossero fuggiti con il premio di produzione e i bonus a Turks and Caicos ecco allora che, sempre la nonna turlupinata (perché, signori miei, la ex operaia e cuoca ultraottantenne un profilo di rischio finanziario medio o alto proprio no, eh?) dovrebbe, come detto, potersi rivalere sull’istituto che pretende di rinunciare alla scomoda eredità. Quest’ultimo, nel migliore dei mondi possibili, non dovrebbe potersi trincerare dietro leggi su misura e ancora fresche di stampa.

Perché, al contrario, la mia stretta conoscente ha dovuto inginocchiarsi e umiliarsi davanti a un pezzo molto molto grosso dell’Innominabile bancona di qualche anno fa. E tutto, si badi, per ottenere soltanto una transazione. Ed evitare così che una causa – avviata per un credito avanzato dall’istituto, nel frattempo acquisito dalla bancona, nei confronti della parte venditrice – mandasse all’asta la casa della stretta conoscente, quasi a sua insaputa. Quindi, ripeto: inginocchiarsi e umiliarsi per poter pagare il debito della truffaldina che le aveva venduto casa e salvare la proprietà.

(Postilla: quel credito ovviamente non era entrato nei radar del solerte notaio, peraltro puntuale percettore di compenso per il rogito; ma qui apriremmo il capitolo sull’utilità dei notai, stendiamo un velo pietoso, e comunque in caso avrei un altro episodio da raccontare all’uopo).

E sì, perché, sapete, ai potenti le case vengono regalate a loro insaputa, alle persone normali gliele portano via così, tutto d’un tratto. Anzi, alla fine, ai fessi, gli tocca anche pagare qualcosa per evitare ulteriori guai. Di cosa stupirsi, quindi, se alle nuove banche è concesso per legge di non pagare un cent agli eventuali – e ripeto eventuali, per sacrosanto garantismo verso le povere banche – turlupinati mentre quelle fallite saranno velocemente scomparse nel nulla? Ma questo dev’essere un altro capitolo della nota favola sul candore del Giglio e la volta buona, evidentemente.

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Stop al traffico! La foglia di fico di Maran

La rivoluzione arancione si fa, con la dovuta calma. Per esempio, dopo ventotto giorni consecutivi di superamento della soglia di allarme per i particolati (dall’inizio dell’anno i giorni fuorilegge sono 93).
In dicembre il Pm 10 a Milano ha registrato una media di 84 microgrammi per metro cubo, parecchio al di sopra dei 50 previsti per legge. Le polveri ultrasottili (Pm 2,5 – le le più nocive) hanno segnato in media 69. Certo, l’alta pressione, quella cattivona, non arretra di un millimetro: sole, temperature anomale, nebbia in pianura. In pratica, le condizioni perfette per la camera a gas. Pioggia, avercene.
E la giunta Pisapia? Ferma come un semaforo, diceva quel Guzzanti Corrado nell’esilarante imitazione di Romano Prodi. Perché, a parte la moral suasion sull’uso dei mezzi pubblici, non è che fermare il traffico per tre giorni fra le 10 e le 16 (avete letto bene, soltanto 6 ore al giorno) – in un periodo in cui la città è beatamente in vacanza – cambi radicalmente la prospettiva.
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Ma, si sa, il giovane asesùr Maran si scalda solo quando si tratta di mettere bici per ogni dove nelle piazze. Perché quella è la mobilità sostenibile (per chi ha vinto l’appalto, in particolare). Quella insostenibile non agita granché i sonni dei nostri amministratori. E intanto noi si respira veleno da un mese, senza nemmeno una pausa. In omaggio al governo ombra di Milano, da sempre: i commercianti.
Io rimango dell’idea, come il direttore dello IEFE-Bocconi ed ex assessore alla mobilità, Edoardo Croci, che la soluzione per Milano sia l’estensione dell’area C alla circonvallazione esterna, insieme a molti più parcheggi d’interscambio. Oltre a un’azione finalmente efficace per la conversione degli impianti di riscaldamento più inquinanti, ovviamente.
Intanto l’ineffabile presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, suona la carica e chiede addirittura «un intervento unitario delle Regioni e del Governo» perché la questione va posta a livello europeo, per «azioni coordinate» in tutta l’area. Cioè, zero. Ricordarselo quando si va a votare.

Sapessi com’è strano fermare le auto sotto Natale, a Milano

Leggo una email di Edoardo Croci, ex assessore all’Ambiente nella giunta Moratti e, attualmente, direttore di ricerca allo IEFE-Bocconi, il centro di economia e politica dell’energia e dell’ambiente. E penso: toh, non sono bocconiano, eppure ripeto non da oggi le stesse cose. Tipo: “Non è ammissibile che dopo 19 giorni di emergenza smog con il superamento della soglia giornaliera di concentrazione delle polveri sottili la risposta delle istituzioni sia la resa, in attesa che cambi il tempo”. Appunto.

Vi ricordate quando in Regione regnava Formigoni? Le prefiche della sinistra milanese e ambientalista tutte lì a lacrimare e stracciarsi le vesti, lamentando l’improrogabile urgenza di fermare il traffico perché si stava morendo a molto breve. Perfino l’ex Celeste si piegò un po’ obtorto collo alla logica perversa delle domeniche senz’auto. Si faceva poco ma se se ne parlava, di inquinamento. Nonostante le grida dei commercianti. E ho detto tutto, visto che se a Milano una cosa non è cambiata nei secoli dei secoli è la visione miope del mondo che hanno proprio i commercianti, che in quanto a lobby i taxi gli fanno un baffo.

In genere il momento di bonaccia e siccità arrivava fra gennaio e febbraio. Quest’anno è arrivato sotto Natale. E, si sa, nessuno tocchi il Natale e lo shopping con il culo ben piantato in una comoda automobile. Così, le centraline di monitoraggio non hanno cuore di guastare la festa e rilevano fin là, a guardare certi dati sembra che l’emergenza ci sia ma non così seria. Eppure se il tiggitré regionale dice che l’aria è inquinata, dovrà pur esserci del vero.

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Ecco, non mi dilungo. Osservo solo, con deferenza, che da quando Pisapia è a Palazzo Marino e Maroni al Pirellùn e il Milan fa davvero più schifo del solito (quattro anni, più o meno), i silenzi tombali hanno preso il sopravvento sul vivace dibattito a sinistra, che attualmente è nullo. Si direbbe che l’aria è ottima, salubre, respirabilissima. Non siamo mica Pechino, del resto, dove le polveri sottili hanno concentrazioni 10-20 volte superiori a quelle della pur stantia ma familiare pianura padana.

Ed ecco che, ripeto, al diciannovesimo o ventesimo giorno di inquinamento dichiarato oltre i limiti (com’è noto i danni alla salute sono aggravati proprio dalla persistenza di livelli alti delle polveri sottili e sottilissime oltre che di gas nocivi come i biossidi di azoto e zolfo, i vari idrocarburi) la giunta comunale rilancia – cito a memoria – coraggiose iniziative di moral suasion tipo biglietti da un euro e mezzo per circolare su mezzi tutto il giorno, trasporti gratis per i genitori che portano i figli a scuola, addirittura il bike sharing gratis. E, certamente, anche l’invito perentorio ad abbassare di ben un grado la temperatura nelle case, da 20 a 19, che poi ditemi voi chi cacchio ci andrà mai casa per casa a misurare con il termometro.

Qualcuno si chiederà: ma fermare le auto, i diesel magari, quelli che Volkswagen ha promesso l’impromettibile e adesso passa guai seri? Ma dai, come siete malfidati. Sapete, basta la presenza del sindaco arancione a garantire per la salute dei milanesi. Mentre Maroni si guarda bene dal disturbare l’operosità lombarda che piomba in città ogni giorno.

Quindi non resta che recitare sottovoce l’email di Croci, tecnico serio e liberale, specie doppiamente rara in un Paese sempre più distratto dal rumore dei fondo dei social network, dei Grandi Fratelli o X Factor che dir si voglia, e dalle quotidiane imprese delle fashion blogger:

“Non è ammissibile che dopo 19 giorni di emergenza smog con il superamento della soglia giornaliera di concentrazione delle polveri sottili la risposta delle istituzioni sia la resa, in attesa che cambi il tempo. Le conseguenze sanitarie di elevati e prolungati livelli di concentrazione degli inquinanti sono infatti pesanti, come hanno evidenziato diversi rapporti internazionali che attribuiscono alla pianura padana il poco invidiabile record di mortalità prematura per lo smog.

I timidi provvedimenti messi in atto, più di facciata che di sostanza, non hanno avuto alcun effetto. Sarebbe dunque ora che il Sindaco di Milano Pisapia passasse a provvedimenti più incisivi, come il blocco totale dei veicoli diesel passeggeri e commerciali e dei motorini a due tempi, con poche deroghe riservate alle merci deperibili e finestre di consegna serali negli altri casi – che consentirebbe di dimezzare le emissioni da traffico e di diluire le concentrazioni che nelle ore di picco della giornata toccano livelli “cinesi”.

Ancora più grave è l’assenza di intervento della Regione Lombardia, a cui ai sensi della stessa legge regionale per la qualità dell’aria compete il coordinamento degli interventi di emergenza su vasta scala. La situazione attuale è la dimostrazione che l’inquinamento non è un nemico sconfitto e che bisogna andare avanti con misure strutturali in modo da prevenire le emergenze, in primo luogo con l’allargamento di Area C chiesto dai milanesi con i referendum del 2011 e rinviato dall’amministrazione a data imprecisata”.

Oh, a proposito: ma che rompiballe, sto Croci eh.